di: stefanoiovino
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“Perché mia figlia?”: dalla sofferenza al dolore
Sto sfogliando l’album delle foto dei miei figli, non so bene il perché. In fondo penso che quello che sto cercando sia una foto di G. in cui ritrovare il suo sorriso. Infatti non me lo ricordo più. I tempi in cui pensavo che eravamo una famiglia felice, che ero una madre piena di orgoglio e di gioia, mi sembrano tanto lontani e mi assale l’orribile dubbio di avere sbagliato tutto, di non avere capito cosa mia figlia si aspettasse da me. Oggi mi sembra che dentro di me ci sia un dolore nuovo, tremendo, che mi toglie il respiro. Un dolore che non mi fa più tanto pensare tanto a quello che lei mangia o non mangia, ma piuttosto mi spinge ossessivamente a chiedermi perché proprio a lei, perché noi, cosa abbiamo fatto di tanto sbagliato e cosa posso fare io oggi per vederla sorridere ancora. Ho un nodo nel cuore, che mi chiude la gola, mi sento un mostro (P.Pace, 2012).
Queste le parole di una madre, una come tante…
L’insistenza con cui la figlia esibisce il corpo emaciato veicola un messaggio così doloroso da essere per molti genitori intollerabile. “Tu non sei stato…e l’anoressia è la conseguenza”. La riprova ogni giorno del fallimento genitoriale si incarna nel corpo reso scheletro e si cristallizza nello sguardo sofferente e senza vita della figlia, uno sguardo che ad un certo punto non è più sul piatto della bilancia ma dentro di sé.
La consapevolezza che niente è più come prima, che l’anoressia non è un capriccio, ma un percorso lungo e drammatico, trasforma il lamento iniziale delle madri, in una parola appesantita dal dolore di uno sguardo nuovo. La disperazione delle madri si accentua nel constatare che nessuna delle loro risposte soddisfa le figlie. Tutto questo è accompagnato dall’angoscia che la propria figlia possa morire di fame, così come, nello stesso momento, è una sofferenza tollerare il rifiuto anoressico che affama padre e madre nella loro spinta a dare più amore. E’ proprio incontrare l’ impotenza, che si rispecchia nel corpo emaciato della figlia, ma anche il rendersi conto del potere che il sintomo stesso ha sulla figlia, impotente rispetto al venire risucchiata nel vortice dell’abbuffata – vomito e nell’imperativo del non mangiare (P.Pace, 2012).
L’uscita dall’anoressia è un percorso graduale, fatto di piccole conquiste che annunciano una possibile svolta, un cambiamento della direzione esistenziale. La “molla” tanto attesa dai genitori difficilmente si concretizza in un evento determinante, piuttosto il lento sciogliersi della logica malata è scandita da piccole sfumature che mostrano come la vita della figlia si stia “scongelando”. Incontrare uno sguardo della propria figlia diverso, meno cupo e teso è il primo segnale che qualcosa sta cambiando unitamente al sentirle parlare di progetti: i genitori capiscono che sono espressioni di un interesse per la vita che si era congelato e ristretto solo al cibo ed al peso che saranno poi gli ultimi aspetti che si modificheranno proprio perché il percorso di uscita dall’anoressia non è lineare, ma è costellato di momenti di arresto, seguiti da piccoli cambiamenti e da altri che sembrano un “tornare indietro”.
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