di: stefanoiovino
Condividi su:
[…penso a come sono stata con le mie figlie, a cosa ho cercato d’insegnare loro, ai momenti passati insieme ed ai sacrifici fatti. Poi torno ad oggi e cado in uno stato di frustrazione profonda, mi viene da piangere e cerco di scacciare questi brutti pensieri, di miseria affettiva, di fallimento, di errori fatti forse per egoismo. Se avessi saputo di potere recare tanto danno! Ho la bocca amara, ma la realtà è questa ed è molto dura da accettare…] (P.Pace, 2010).
L’anoressia e la bulimia sono patologie che coinvolgono profondamente tutto l’ambiente familiare e sviluppano tutta una costellazione emotiva complessa, contraddittoria che tocca ogni componente e stravolge sia le logiche sia le relazioni intrafamiliari. Perchè contraddittoria? Perché l’amore convive con l’odio, la tolleranza con la rabbia, la comprensione con il rifiuto, il voler fare con l’angoscia dell’impotenza. Essi sentono, forse per la prima volta, di non potere essere utili. Quando il rifiuto del cibo ed il dimagrimento continuano, i genitori vivono una profonda angoscia, legata alla paura di perdere il proprio figlio.
Tale circuito emotivo se non controllato, o mal gestito, può ulteriormente complicare le già difficili relazioni intrafamiliari.
Quindi, un lavoro psicologico che accolga ed ascolti i vissuti della famiglia e li aiuti a lavorare sul dramma familiare è una efficace possibilità per potere ridurre la potenza del sintomo.
L’angoscia ed il profondo senso di colpa che vivono i genitori, li fissa in un impasse etico che si radica nell’essere genitori falliti. L’anoressia punta ad incrinare e lacerare il sentimento d’amore materno e paterno e dunque l’idea stessa di essere stati dei buoni genitori. Il genitore viene inchiodato dalla serie infinita di interrogativi della propria figlia rispetto ai quali sente che non c’è risposta, anzi che qualsiasi sua risposta fallisce, cade, non si ancora, non si aggancia a soddisfare questa domanda. Da qui l’esasperata ricerca dei genitori di buoni rimedi, sempre però nel timore di sbagliare, nel dubbio di non dire la cosa giusta e fare innervosire la propria figlia rovinando tutto. Ben presto si attiva tra i familiari una ‘bulimia di offerte’ e più il genitore elargisce e tende a tenere la posizione del salvatore, più si irrigidisce il rifiuto. Ne consegue che la comunicazione all’interno della famiglia genera disorientamento e crea ansia, padre e madre temono sempre di sbagliare, complicando così ulteriormente la già difficile relazione. Inoltre nella comunicazione tra figli e genitori compare gradatamente e sempre di più, il mentire, la bugia e ciò contribuisce ad acuire l’angoscia soprattutto delle madri ed a volte il controllo familiare si rafforza.
I disturbi del comportamento alimentare incarnano ed esprimono in modo drammatico una sofferenza altrimenti inesprimibile, facendo del corpo il segno visibile di ciò. In genere, nella famiglia, la sofferenza bulimica è una sofferenza più nascosta, anche perché il soggetto tende a mantenersi normopeso. Ma, soprattutto le madri, si sentono catturate dalla modalità ambivalente ed angosciante delle figlie di nascondere e/o esibire il sintomo alimentare. Ad esempio un soggetto bulimico è un soggetto che mangia di nascosto ma poi lascia chiari messaggi, i segni che testimoniano questi atti: i sacchetti vuoti, il water sporco, i contenitori vuoti di diuretici e lassativi, diari aperti! Anche la parola dei genitori entra in tale circuito contraddittorio: ‘Dico o non dico, faccio finta di niente o le dico che ho scoperto, ho visto?’
Non esiste purtroppo un’indicazione generale da restituire alle richieste di aiuto dei familiari che possa valere in modo universale. Ogni anoressia trova i suoi sensi a partire dalla storia particolare del rapporto tra quel figlio e quel genitore nella peculiare dialettica del loro amore e del senso unico dell’uso soggettivo e strategico della malattia.
Il corpo dell’anoressia è un corpo visibile che esige di essere visto per offrire all’altro un messaggio; in effetti l’anoressica incarna e persegue fino alla morte l’ideale autarchico della magrezza.
Tali sguardi suscitano nei familiari un sentimento contrapposto nel quale la paura si può accompagnare alla rabbia ed al non volere più vedere. L’angoscia di perdere la propria figlia ed il potere mortifero dell’anoressia si sono impresse in quello sguardo, suscitando un dolore infame (P.Pace, 2010)
Potrebbe interessarti anche:
Anoressia: il ruolo del padre
Disturbi alimentari: le possibili cause
Lo spettro dell’anoressia e gli intrecci familiari