Categories: Articoli

di: stefanoiovino

Condividi su:

L’importanza della motivazione al cambiamento

Nelle fasi iniziali della diagnosi, nel caso di un disturbo del comportamento alimentare e non solo, è compresa anche la fase dell’analisi della motivazione (Vitousek, 1996). A causa della resistenza delle pazienti con disturbo alimentare ad abbandonare l’attitudine al controllo nelle relazioni di intimità è essenziale il rapporto con un “empirismo collaborativo” che porti ad un atteggiamento di collaborazione reciproca.

Una ricerca di Treasure, Katzman e Schmidt (1999) si sofferma sullo studio della motivazione soprattutto nei casi di bulimia, ipotizzando che vi siano diversi stadi di arrivo del paziente in terapia: precontemplativo, contemplativo e in azione (Prochaska, Norcross, Di Clemente, 1992), e che la motivazione al cambiamento e l’esito di un’eventuale terapia dipendono da diversi stadi in cui il soggetto si trova. Si può osservare come la maggior parte delle pazienti bulimiche (128) di questo studio si trovino nello stadio “in azione” e come questo dato si correli positivamente con il successo del trattamento; la metà del campione ha avuto un buon livello di miglioramento con terapia individuale e personale.

Gran parte degli studi consultati concorda nel sottolineare l’importanza della costruzione della motivazione alla terapia nelle pazienti bulimiche ed anoressiche.

La motivazione nelle pazienti anoressiche ha un peso molto alto sulla possibilità stessa di una relazione ed è fortemente inquinata da elementi di tipo non psicologico. Le anoressiche croniche a causa della quantità di risorse mentali dedicate al controllo dell’alimentazione ed alle ruminazioni sull’essersi nutrite troppo presentano scarse risorse residue da dedicare all’esplorazione di alternative.

Nelle pazienti bulimiche croniche la motivazione ad intraprendere una terapia discende di solito dall’aumento di sgradevolezza del vomito autoindotto o dalla paura degli effetti secondari (le rughe in faccia, i denti, tumori all’esofago, ecc.) e dalla quantità di tempo che i rituali del vomito tolgono al tempo della vita.

In entrambe le patologie la motivazione alla psicoterapia la si riscontra solitamente con maggiore facilità nelle fasi tardive della malattia, anche se è auspicabile sempre non attendere la cronicizzazione la quale peggiora la prognosi (Nathan, Gorman, 1998; Roth, Fonagy, 1996).

Comunque sia, questa è una fase molto delicata e complessa in quanto le pazienti sono completamente risucchiate dalla loro sintomatologia vissuta in modo egosintonico. Le persone che soffrono di DCA generalmente si vergognano dei loro disturbi e non hanno fiducia nella loro capacità di cambiare. Mantenere queste idee può essere paralizzante ed impedire qualsiasi tipo di movimento.

Può interessarti anche:
Come posso aiutare una persona casa affetta da un DCA? 
La luce in fondo al tunnel: la guarigione familiare
Il valore personale risucchiato dal corpo: una riflessione